Stellantis se ne va in Marocco, ma chiede soldi agli Italiani

Leggiamo dal quotidiano “Il Messaggero”: «Calenda: “Stellantis non è più italiana e chiede soldi per restare. Ora Elkann dia spiegazioni”»; e il sottotitolo è ancora più eloquente: «Il leader di Azione: “La gente non lo sa: il Gruppo vuole investire in Marocco. Anche la fabbrica per fare la Maserati è stata messa in vendita su Immobiliare.it”».

A confermare le intenzioni del gruppo Stellantis è anche “Il Foglio” che ha potuto prendere visione della lettera con la quale il Gruppo automobilistico invita i suoi fornitori italiani «a una due giorni d’incontri in un hotel di Rabat, il 9 e il 10 Novembre scorsi».

Un documento che mostra senza equivoci, commenta il giornale, «l’anti patriottismo di Stellantis che studia come spostare alcune attività a Sud, questione di costi più bassi (il Marocco ha 150 mila laureati l’anno ma un salario minimo di 280 dollari al mese) e integrazione della produzione».

Da tempo John Elkan, presidente di Stellantis, della Ferrari, della Fondazione Giovanni Agnelli, della holding finanziaria olandese Exor N.V. che controlla, tra l’altro, il Gruppo editoriale Gedi, mostra di non essere più interessato a far parte del processo d’industrializzazione dell’Italia.

Anche la vendita di molte testate giornalistiche è un segnale evidente del disinteresse di Elkan per il nostro Paese. Al Gruppo Gedi sono rimaste “La Stampa”, “la Repubblica” e “Il Secolo XIX”, che vengono usate come arma politica per tenere sotto pressione il Governo, ma che non possono più avvalersi del contemporaneo appoggio delle tante testate cartacee e radiofoniche cedute nel Veneto e nell’Emilia Romagna.

Per anni la Fiat è riuscita ad imporre che nessun concorrente aprisse uno stabilimento sul suolo della Penisola. Nello stesso tempo ha potuto godere di lauti finanziamenti pubblici ogni volta che paventava la chiusura di fabbriche con conseguente licenziamento di personale.

È giunto il momento di prendere atto che se la logica di Elkan è quella del “business is business” – se ha ceduto la Fiat ai Francesi è per continuare a fare quattrini – , anche lo Stato da questo momento può invitare altri colossi automobilistici a venire in Italia a produrre.

Certo la ritorsione di lasciare a casa migliaia di persone sarà un’ulteriore stilettata inferta all’attuale Governo perché vada in crisi e magari cada.

Ad Elkan e alla nomenclatura internazionale alla quale appartiene non piace la maggioranza che governa l’Italia perché potrebbe essere contagiosa e imitata da altri Paesi, che certamente bloccherebbero lo strapotere delle multinazionali rimettendo nelle mani dei popoli la costruzione dell’Europa.

Sì, ancora una volta, gli italiani sarebbero chiamati a fare sacrifici e a stringere i denti per sostenere migliaia di tecnici e tute blu dell’industria automobilistica momentaneamente azzerata.

Pretendere di costruire le vetture che si vendono in Italia è un sacrilegio contro le leggi del commercio internazionale o i regolamenti dell’Europa ?

È così insensato, oltraggioso al libero mercato, stabilire che se Ford, Volkswagen, Nissan, etc. vogliono continuare a vendere vetture in Italia devono aprire qui una loro fabbrica?

Di arricchire cinici finanzieri mascherati da capitani d’industria gli italiani sono stanchi. Il Governo crei i presupposti perché veri imprenditori trovino conveniente investire nel nostro accogliente Paese, creando posti di lavoro e benessere.

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